Le “case” degli archivi digitali si fanno belle
Ieri anonime fortezze, oggi i data center reclamano la loro identità. Coniugando funzionalità ed estetica anche quando si ergono sottoterra.
di Nicola Scevola
La scavatrice che si muove dentro la miniera di San Romedio pare un gigantesco ragno d’acciaio. Con le sue lunghe zampe sottili scava un centinaio di piccoli fori cilindrici sulla parete in fondo a una galleria, sepolta 100 sottoterra. Un fochino (l’artificiere che maneggia l’esplosivo) sistema con cura un candelotto di dinamite in ogni buco e collega gli inneschi con il filo elettrico. Poi si ripara dietro un angolo e detona le cariche. L’aria trema, la roccia si sbriciola e la galleria avanza di quattro metri. Dalla miniera escono casse di dolomia, una roccia calcarea ad alto contenuto di magnesio, preziosa per produrre calce idraulica. Ed entrano megabyte di dati che verranno archiviati nei server alloggiati all’interno della galleria, dove si materializza l’impalpabilità del cloud. Benvenuti nel primo data center d’Europa costruito in una miniera attiva nella Val di Non (Trentino), con un innovativo progetto firmato dallo studio In-Site per Trentino Data Mine, società pubblico-privata guidata dall’Università di Trento.